Il focus divulgato dal Ministero dell’Istruzione sull’anno accademico 2020/2021 rivela che i professori ordinari sono il 19,6% e in gran parte hanno più di 50 anni. Alla base i ricercatori al 47,9% con un’età media nettamente inferiore rispetto ai precedenti. In mezzo gli associati al 32%. Ma non solo. Il gender gap resta una criticità.
Al vertice i professori ordinari
Nelle Università italiane i docenti ordinari hanno in media 60 anni e sono in netta prevalenza. Rispetto al focus del 2015 i numeri sono saliti ulteriormente, da 12.883 sino ai 14.158 del 2020, rimarcando una struttura piramidale. I dati comprendono sia donne che uomini, anche se le prime rimangono in sostanziale inferiorità numerica rispetto alla componente maschile.
A fare un quadro della situazione la sociologa Chiara Saraceno, ex professoressa all’Università degli Studi di Torino che afferma: “la filiera della carriera negli atenei è lunga e accidentata a causa della mancanza di soldi per fare nuovi bandi. Il problema è quello della spesa: per bandire un posto di ordinario servono i finanziamenti per gli stipendi. Spesso per poterlo fare bisogna attendere che qualche ordinario vada in pensione e vi sia di conseguenza una dote a disposizione”. Aggiungendo “Molte mie allieve sono diventate ordinarie a cinquant’anni”.
Paraocchi sul gender gap
Uno dei dati più allarmanti riguarda la disparità di genere. Confrontando i dati dei docenti e ricercatori a tempo indeterminato e a tempo determinato divisi per sesso si evince la sostanziale diversità numerica. Tenendo come anno base il 2015, la percentuale delle donne si assestava al 36,85%. Oggi il dato è aumentato di poco, arrivando al 38,46%. Rispetto a decenni passati il quadro è migliorato, ma i passi da fare verso la parità nell’ambito accademico sono ancora molti.
“Non mancano le donne che si laureano, ma c’è uno squilibrio di genere perché manca una valorizzazione del genere femminile anche negli atenei”, afferma la sociologa Chiara Saraceno.
“Ho parlato con presidi di facoltà scientifiche che non si accorgevano del problema della mancanza di donne. C’è ancora il paraocchi. Basti pensare che la questione della maternità è ancora considerata anche in questi contesti un problema, mentre in paesi come la Svezia può capitare che persino un uomo segnali nel suo curriculum il congedo parentale”.
