L’Italia è penultima in Europa per percentuale di giovani laureati

Greta Maggi

Pubblicato la settimana scorsa, il rapporto dell’Eurostat 2020 attesta una spiacevole ma purtroppo non sorprendente notizia a proposito della percentuale di laureati del nostro paese. In Italia solo il 29% dei giovani (fascia 25-34 anni) detiene un titolo di studio terziario (appellativo che molti Paesi europei utilizzano al posto del termine “laurea”, in quanto comprende Università, Università applicative e corsi di formazione post-diploma) a fronte di una media UE del 41%. Quali Paesi hanno il primato per numero di laureati? Quali sono i fattori che scaturiscono la bassa percentuale in Italia? Guardiamo i dati. 

I giovani europei laureati, dati alla mano 

L’Italia si posiziona al penultimo posto per la quota di laureati, prima solo della Romania (25%). In testa alla classifica, come riportato nel grafico sottostante di Eurostat, si trova Lussemburgo (61%), Irlanda e Cipro al secondo posto (entrambi 58%), seguiti da Lituania (56%). I tre Stati, insieme a Paesi Bassi, Francia, Svezia, Belgio, Spagna, Danimarca, Slovenia e Svezia fanno parte del gruppo dei Paesi UE che hanno raggiunto anticipatamente l’obiettivo fissato dall’Unione Europea per il 2030, ovvero una media del 45% di laureati. La media in Europa, stando ai dati rilasciati dall’analisi dell’anno 2020, è del 41%.

giovani laureati europei
Fonte: Eurostat

È opportuno inoltre indicare un gap di genere tra i laureati europei. La percentuale di donne laureate risulta essere del 46%, mentre quella degli uomini si ferma al 35%. Il divario di genere si è oltretutto allargato nel tempo, passando dal 9,4% nel 2011 al 10,8% nel 2020. Il che ha rivelato una crescita a ritmo molto più lento della popolazione maschile laureata. 

Nonostante ciò, in Italia le donne non godono appieno del vantaggio di possedere un diploma di laurea, e quindi presumibilmente raggiungere posizioni di lavoro più remunerate. I dati riportati dall’Osservatorio Job Pricing 2020 dimostrano che vi è un divario salariale tra uomini e donne laureati maggiore di quelli non laureati, che ammonta a 11.195 euro. Il gender pay gap cresce dunque al crescere del livello di istruzione, con una differenza retributiva tra uomini e donne laureati del 32,8%, e addirittura del 47,3% dopo un master di 2° livello.

gender pay gap
Fonte: Osservatorio Job Pricing

Quali sono i fattori che causano il lento progresso di laureati in Italia?

Tasse elevate, alloggi limitati e borse di studio modeste. Sono solo tre dei grandi e rilevanti motivi che hanno scaturito una faticosa crescita della quota di giovani italiani laureati. Le tasse universitarie italiane, infatti, sono tra le più alte in Europa e solo il 3% degli universitari riesce a permettersi un appartamento. Anche le borse di studio, strumento di sovvenzione statale e/o privato ampiamente utilizzato in molti altri Paesi, sono poche. Solo 1 studente su 10 beneficia di una borsa di studio in Italia, contro una media europea di 1 su 4.

Tutti i dati appena riportati sono, tra le altre cose, dettagliamene citati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza varato dal Governo e approvato dalla Commissione Europea. Proprio per i motivi menzionati, nel piano di investimenti sono stanziati 1 miliardo di euro in alloggi, 500 milioni in borse di studio e 1,5 miliardi per aumentare il numero di studenti iscritti agli ITS. Un progetto lungimirante quello della missione 4 del Pnrr, che “mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca”.

Le parole della ministra dell’Università e Ricerca 

Maria Cristina Messa, ministra dell’Università e della Ricerca, ha così commentato i dati riguardanti i giovani laureati:

L’Italia ha il dovere di invertire la tendenza rispetto al basso numero di laureati. Si tratta di un percorso lento e progressivo che dobbiamo iniziare a fare immediatamente. La prima [azione] è quella di ampliare il numero di studenti e l’offerta formativa degli atenei, aiutando le famiglie che non hanno mezzi sufficienti per far studiare i propri figli. La seconda azione è quella di legare di più l’aspetto formativo con il mondo del lavoro.

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