Che cos’è l’arte?
Leonardo è un Artista. Un artista con la A maiuscola, in quanto ha indagato e calcato e approfondito ogni sfumatura dello scibile umano (e non). Tuttavia, la definizione di “artista” induce a riflettere sul concetto di arte.
Che cos’è l’arte? L’arte è qualcosa di “inutile“. Lo dice Montale, da neovincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1975. “Io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile“, ammette all’Accademia di Svezia. Come lui, anche Wilde nella Prefazione al Ritratto di Dorian Gray dichiara che “tutta l’arte è completamente inutile“.
Un momento, però. La poesia (e quindi l’arte), continua Montale, è sì un prodotto inutile “ma quasi mai nocivo, e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà“. E Wilde, in uno dei suoi tanti aforismi, rivela che “l‘arte è una passione” e che “non esprime mai altro che se stessa“.
Quindi, che cos’è l’arte? L’arte è inutile solo se concepiamo l’umanità come insieme di organismi viventi. Non ci riempie lo stomaco o il portafoglio, ma se siamo realmente essere umani capaci di sentire, l’arte innaffia la nostra anima. L’arte custodisce le radici, alimenta i sogni, plasma gli incubi. “Conforta il disturbato e disturba il comodo” dice Bansky. L’arte è tutto e niente. Un mistero (ir)risolto, un gesto divino e al contempo popolare. L’arte non deve essere spiegata con razionalità, ma deve sconvolgere e travolgere. Qualsiasi fruitore, esperto o profano che sia, deve percepire quel “motus animi continuus“. Quella vibrazione evocata da Mann, Flaubert e Cicerone, di fronte ad un’opera. L’arte è una lancia che, dolcemente e senza dolore, trafigge l’anima.
Ecco perché nasce la rubrica “University ARTwork“. Sorge e si sviluppa come percorso multiforme. Un viaggio alla scoperta di artisti di ieri e di oggi, e magari di domani, che concedono il lusso di un’emozione, senza pretendere nulla.
Esperienza e talento: un uomo curioso
Leonardo è artista, inventore, scienziato. Leonardo è il Genio, il simbolo dell’estro nell’immaginario collettivo. Inoltre, incarna l’immagine del ribelle anticonformista, capace di “osare l’inosabile” direbbe d’Annunzio. A volte ci riesce, altre volte no. Ma l’esito non conta di fronte ad un uomo che impara più “dalla sperienzia che dall’altrui parola“.
Però, è importante ricordarlo, Leonardo non è proprio “omo sanza lettere“. Vanta una biblioteca di quasi duecento esemplari, occupata soprattutto da volumi di letteratura, volgare e latina, e di retorica, utili per migliorare la padronanza della lingua. Scarseggiano i trattati tecnici, affini ad un uomo “pratico” come lui. Leonardo legge, studia e disegna (con la mano sinistra) senza tregua, e considera i libri come “antichi amici“.
Non tutti sanno che Leonardo è “figliuolo non legittimo” di Ser Piero da Vinci, quindi, non potendo intraprendere la carriera diplomatica, finisce in bottega. Andrea Verrocchio, il più grande Maestro dell’epoca, diventa il suo mentore. Inizia nella vivace Firenze il cammino di uno degli uomini più influenti della Storia, per poi finire a Parigi, alla corte di Francesco I.
Annunciazione, prima prova per Leonardo

L’Annunciazione è un banco di prova. Grazie a quest’opera, Leonardo mette in mostra tutto quello che sta imparando a bottega. Apprende dal suo maestro, dai collaboratori e si impregna di tutta la cultura umanistica che gravita attorno a Firenze e Lorenzo il Magnifico. Questi sono gli anni degli studi: dalla botanica all’uso del colore in tutte le sue potenzialità, fino alla prospettiva.
A proposito, notate anche voi un errore delle proporzioni? Il braccio della Vergine è oggettivamente esagerato, così come la mole delle gambe e del rispettivo panneggio. Ma aspettate prima di deridere Leonardo. Nulla è lasciato al caso. La spiegazione è molto semplice: pare che quest’opera fosse collocata in una posizione particolare e che dovesse essere osservata in tralice. In questo modo, tutte le distorsioni sarebbe diventate correzioni ottiche.
Passiamo all’analisi del dipinto. Il prato è un tripudio di vita: la varietà di fiori deriva dall’attenzione di Leonardo per il mondo della scienza, come dimostrano anche le differenti specie di alberi in secondo piano. L’arcangelo, appena atterrato, porta con sé il messaggio di Dio, mentre la Vergine è di fronte ad un edificio rinascimentale e alza il palmo in segno di saluto (tipico quattrocentesco). Il leggio è un omaggio di Leonardo al suo maestro, chiaro riferimento alla Tomba di Giovanni e Piero de’ Medici realizzata da Verrocchio. Superfluo sottolineare la minuzia dei dettagli e la dovizia di particolari: le piume dell’angelo, la veste della Madonna, il leggerissimo velo sul libro.
Ultima considerazione. Sullo sfondo, predomina una patina azzurra tendente al grigio, come se fosse un accenno di nebbia. Questa è la prospettiva aerea, introdotta dallo stesso Leonardo. Secondo l’artista, è sbagliato non considerare la corporeità dell’aria, che inevitabilmente si frappone tra lo spettatore e il paesaggio. Quindi, più un oggetto è lontano da chi guarda, più è avvolto da questo velo aeriforme, che ne influenza la vista.
Cenacolo, il grande azzardo di Leonardo

Mio amato Leonardo, in questo caso ti sei tirato la zappa sui piedi. Perché direte voi? Vi risponde Vasari, che dopo qualche decennio visita il refettorio di Santa Maria delle Grazie per vedere il Cenacolo, ma “non si scorge più se non una macchia abbagliata“. La conservazione dell’opera è pessima, con un improbabile recupero. Ma l’errore è proprio di Leonardo, in quanto ha dipinto a secco su un muro asciutto, e non “a buon fresco“. L’affresco, infatti, consiste nella stesura del colore (formato solo da pigmenti e acqua) sull’intonaco del muro ancora bagnato. Avviene, così, la carbonatazione della calce: il muro si asciuga, il colore si solidifica e l’opera dura per l’eternità. L’umidità delle cucine, le infiltrazioni, la scarsa qualità del muro, i bombardamenti nel corso della storia non hanno di certo giovato al Cenacolo, però di fondo c’è un errore di esecuzione.
Nonostante questo, Leonardo rimane strepitoso. La grandezza leonardesca consiste nel conferire anima e psicologia ai protagonisti. “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà“: questo è quello che ha appena detto Gesù agli apostoli, e il panico dilaga nella stanza. Gli uomini, suddivisi in gruppi da tre, confabulano con mimiche e gesti tra l’incredulità e lo stupore, il dubbio e la perplessità. Lo stesso san Giovanni, alla destra di Cristo, si stacca da Lui per ascoltare le preoccupazioni di san Pietro. Ecco che Gesù è solo, come sarà solo al momento della Crocifissione.
Due curiosità. Le macchie scure sulle pareti della stanza in realtà sono arazzi, anneriti in pochissimo tempo. Mentre Giuda, per la prima, siede con il resto del gruppo. Nell’iconografia tradizionale dell’Ultima Cena, il traditore viene posto dall’altra parte del tavolo. Nell’opera leonardesca, invece, ascolta attentamente il dialogo tra san Pietro e san Giovanni, con una sacchetta di denari nella mano destra.
Gioconda, l’opera più famosa di sempre

Incastonata in un paesaggio indefinibile, acquoso e palustre, la Monna Lisa ipnotizza e seduce. Il suo nome deriva dal Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo (da qui Gioconda).
Non mi soffermerò a lungo su questo dipinto. Non perché ci sia poco da dire, anzi, ma perché è stato detto fin troppo.
C’è una sola certezza. Siamo di fronte alla prima manifestazione figurativa di una ricerca in interiore homine. Non è un semplice ritratto, ma l’espressione di un enigma, di un dilemma. Lo sguardo, ma anche la posa, ci suggeriscono infinite suggestioni. Tutte lecite, nessuna assoluta. Per non parlare del sorriso. “Questo sorriso esigeva un’interpretazione ed è stato spiegato nei modi più vari, nessuno dei quali soddisfacente” disse Freud.
La Gioconda è un equilibrio perfetto tra raffinatezza stilistica e ricercatezza intimistica. Leonardo ha voluto evocare la complessa natura dell’uomo, con le sue contraddizioni, i suoi tabù e la sua sensualità. Perché quella che vediamo è una donna, mentre quella che osserviamo è una sfinge.